giovedì 9 novembre 2017

Il lungo viaggio di Pietro (racconto vincitore del concorso letterario indetto dall'Associazione culturale Il Pungolo "Scriviamo la nostra storia")

Pietro guidava con molta prudenza la sua macchina fabbricata in Germania. Stava sotto i limiti di velocità e guardava dritto davanti a se, stringendo forte il volante. Erano 38 anni che non percorreva quella strada, ma la ricordava come se fosse passato da lì il giorno prima. Allora, guidava una piccola Fiat scassata di quarta mano, con il motore che ogni tanto tossiva e l'acqua del radiatore che andava in ebollizione. Alla velocità di 40 chilometri orari, l'aveva condotto lontano dal suo paese e lui, per tutta la durata del lungo viaggio, aveva giurato a se stesso di non tornare mai più.
Aveva mantenuto il suo proposito per tanti anni, ora però, dopo una vita intera lontano dal suo paese natale, stava tornando.
Il campanile e la cupola della chiesa di San Leonardo, comparvero in lontananza, prima ancora del cartello che indicava Serramanna. Sulla parte più alta della torre campanaria, spiccava un orologio che Pietro non aveva mai visto. Era stato rimosso prima della sua nascita e, al suo posto, proprio sopra le campane, c'erano due buchi che non contenevano nulla. L'uomo sentì uno strano tuffo al cuore.
In tutti quegli anni non aveva mai sofferto di nostalgia per il suo paese e rimase stupito dalla sua reazione alla semplice vista della chiesa.
Era andato via da Serramanna subito dopo la morte di suo padre, dopo un brutto litigio con la madre. Una storia di eredità, di divisione di terreni, di figli preferiti e altri meno considerati.
Lui, convinto di essere quello meno amato di tutti, aveva deciso di tagliare i rapporti con sua madre, i suoi tre fratelli e le due sorelle ed era andato via con una piccola valigia di cartone marrone ed i suoi pochi risparmi prelevati dal Banco di Sardegna e nascosti nel calzino sinistro.
Quell'azione dettata dalla rabbia, cambiò tutto il corso della sua vita.
Il destino volle che trovasse subito un buon lavoro in Germania. Dopo poco tempo s'innamorò di una ragazza emigrata da Orosei. Si fidanzarono e dopo qualche tempo si sposarono. Gli anni passarono in fretta, tra impegni, amore per sua moglie, figli da crescere, gioie e dolori.
Durante le vacanze estive, si recavano ogni anno al paese della moglie, ma mai al suo. Lei provava a convincerlo ad andare a fare visita ai suoi parenti, ma lui non ne voleva sapere. Era arrabbiato. Non mantenne i contatti con nessuno e, Serramanna e la sua famiglia, divennero solo un ricordo sul quale evitava di soffermarsi, un pensiero lontano quasi quanto i chilometri che lo separavano dalle sue radici.
A Pietro ormai, sembrava che ogni legame fosse spezzato ma, una lettera con il timbro postale del suo paese, lo obbligò a ricredersi.
Sua sorella più piccola, Anna, che mai in 38 anni lo aveva cercato, gli comunicava che la madre era deceduta e che, per poter vendere la casa, occorreva la sua firma.

La notizia lo lasciò indifferente. Ignorò la lettera e finse di non averla mai ricevuta. Dopo sette lettere e quattro telefonate di un avvocato, sua moglie lo convinse a recarsi a Serramanna e firmare ciò che volevano i suoi parenti.
Se voleva liberasi della sua poco amorevole famiglia e tornare alla sua vita serena lontano da loro, doveva provvedere a risolvere tutte le faccende in sospeso. Così, con poco entusiasmo e nessuna emozione, si era deciso ed era partito.
Le prime case cominciarono a scorrere fuori dai finestrini, accogliendolo nel paese della sua infanzia e gioventù. Guardò il distributore di benzina alla sua sinistra e sorrise tra se, pensando a quante volte da ragazzino era andato lì a mettere la miscela al "Ciao" rosso di suo padre. Parcheggiò accanto ai campi da tennis ed entrò nella caffetteria a sinistra. Aveva bisogno di bere un caffè prima di affrontare fratelli e sorelle. Al bancone, un uomo che doveva avere circa la sua età, prese a guardarlo con insistenza. Pietro lo riconobbe: era un suo compagno delle scuole medie. Pagò in fretta e andò via prima che quello attaccasse bottone. Non aveva voglia di parlare con nessuno. Non gli andava di ricordare i bei tempi andati con persone che non vedeva da quasi quarant'anni. Salì in macchina e ripartì. All'incontro con i fratelli e le sorelle mancavano ancora due ore, così decise di fare un giro. Davanti a quella che un tempo era stata la chiesa di Sant'Angelo, scoprì che era diventata un museo d'arte sacra, ma era chiuso. Svoltò in via Serra e vide che il calzolaio si era trasferito dove prima c'era un meccanico. Con la coda dell'occhio notò che i casermoni di via XXV Aprile erano ancora al loro posto: quando era ragazzo, il circo piazzava il tendone in quel terreno ed il sabato, i venditori ambulanti, lì, facevano il mercato. Una strana sensazione gli chiuse lo stomaco e gli mancò il respiro.
Arrivato alla Croce Santa, si accorse che era stata restaurata e che era circondata da una bella rotonda fiorita. A sinistra, c'era un tabacchino. Ripensò a quando da piccolo entrava a comprare le sigarette per il padre e zia Giulia appoggiava il suo lavoro a uncinetto e lo serviva. Chissà quante coperte e centrini aveva fatto tra un cliente e l'altro! Mentre passava davanti, qualcuno aprì la porta e, per un'istante, vide la signora alla quale stava pensando: era ancora lì con l'uncinetto in mano! Pietro, incredulo, strinse forte le labbra e andò oltre.
Arrivò in piazza Matteotti.
"Lo zampillo" che conosceva lui era stato sostituito da un altro più moderno.
Le panchine di marmo dei suoi ricordi non c'erano più, anch'esse sostituite. L'edicola era rimasta la stessa, ma il bar dove aveva trascorso tante sere estive insieme ai suoi amici, era chiuso.
Andò dritto, verso la stazione. Il passaggio a livello era chiuso e si fermò ad aspettare. Erano stati fatti i lavori per un sottopassaggio ma, evidentemente, non era mai stato inaugurato. Dopo parecchi minuti il treno passò e, finalmente, poté attraversare i binari. Proseguì sino alla fine di viale Matteotti e si stupì trovandosi di fronte una grande rotonda che conteneva la statua di una Madonna e tanti fiori. Percorse il ponte che portava fino a “Santa Maria”. Parcheggiò l'auto davanti al cancello accanto ad un chiosco bar ed entrò nel piazzale, attraversandolo. La chiesetta campestre era stata restaurata e sembrava un'altra. L'alto palco che veniva usato durante la festa, non c'era più. Camminò lungo l'inferriata, guardando verso la stradina polverosa. Si accorse che le sculture a forma di tubetti di colore ai piedi degli eucaliptus, erano state rimosse. Non c'era più nemmeno la scultura bianca di fronte all'ingresso della chiesa. Si sedette a riposare su una grossa pietra e ripensò alle feste, alla gente allegra, alle bancarelle con le noccioline ed il torrone, alla baracca dove il giorno di Santa Maria andava a mangiare il muggine arrosto insieme alla sua famiglia. Gli parve di sentirne l'odore. Gli sembrò quasi che, da allora, non fosse passata una vita intera. Respirò a fondo. Una sensazione di nausea lo tormentava. Ripercorse lentamente il piazzale e tornò in macchina.
Si guardò intorno. A parte una ragazza che camminava tenendo un cane al guinzaglio, non vide nessuno. Molti terreni erano incolti. La campagna che ricordava lui, piena di uomini e donne che lavoravano, non esisteva più. Mise in moto e fece inversione di marcia. Ripercorse il ponte. Si rivide bambino con la madre che lo teneva per mano ed insieme ad una folla di compaesani, all'imbrunire del 9 Settembre, con le candele accese, canti e preghiere, riportavano in processione la statua di Santa Maria fino alla chiesa di San Leonardo, dove venivano accolti con le campane che suonavano a festa. Proprio come il giorno di Pasqua, quando c'era "S'incontru" e le campane suonavano per Gesù e la Madonna che s' incontravano e tutti applaudivano. Percorse Viale Matteotti e poi Via Roma. Arrivato in Piazza Martiri, guardò verso il piazzale della parrocchia e cercò con gli occhi la statua della Madonna nella grotta.
La grotta non esisteva più.
Le mani gli tremarono e strinse forte il volante. Avrebbe voluto fare una breve passeggiata nel piazzale e guardare la statua da vicino, ma non trovò parcheggio e tirò dritto, deluso.
Decise di dirigersi verso la cantina sociale. Gli era tornata in mente la vendemmia. Pensava ai rimorchi carichi di uva che, per poter consegnare i grappoli, restavano in fila per ore in via Principe Umberto. Si rivide ragazzino mentre, con il bidone di plastica, andava a comprare il vino insieme a suo padre. Ricordò la grande bilancia sulla quale saliva per pesarsi e l'odore del mosto che riempiva l'aria. Quando arrivò a destinazione, non riusciva a credere ai suoi occhi: la cantina era abbandonata. Tutto era in rovina e le erbacce avevano invaso il piazzale. Infastidito, accelerò e andò in direzione della casa dei suoi genitori. Voleva risolvere la faccenda e andarsene prima possibile. Erano passati troppi anni e Serramanna non era come la ricordava. I suoi genitori non c'erano più. Sentiva un peso nel petto che lo soffocava.
La strada era stretta e piena di macchine parcheggiate. Lasciò l'auto molto lontano e s'incamminò a piedi. Cercò di non pensare ai giochi con i suoi fratelli e gli altri bambini del vicinato, alle corse a piedi scalzi, alle ginocchia sbucciate, alla madre che all'imbrunire strillava dalla porta di casa, chiamandoli per la cena... Ma la sua testa era piena di ricordi che saltavano fuori uno dopo l'altro ed un maremoto di sentimenti lo sommergeva.
E finalmente, arrivò.
La facciata della casa della sua infanzia e giovinezza era stata tinteggiata di recente e gli infissi in legno sostituiti con moderno pvc. Sui davanzali delle finestre i gerani di sua madre erano in fiore. Con le mani gelate ed una grande voglia di fuggire lontano, prese un lungo respiro e suonò il campanello. Attese per un tempo che gli parve non finire più, ma che in realtà durò soltanto pochissimi secondi. La porta si aprì ed una donna anziana vestita di nero, con gli occhi lucidi, lo fissò in silenzio.
Pietro credette che il cuore stesse per esplodergli dentro le orecchie.
«Mamma...» mormorò incredulo pensando di avere un'allucinazione «Non sei morta...»
Il viso dell'anziana donna si riempì di lacrime «No figlio mio, non sono morta. Non potevo morire prima di averti rivisto e averti chiesto perdono. Lo volevo fare sin dal primo momento. Volevo mettere a posto tutti gli errori, ma tu sei andato via e non sei tornato. Ti ho aspettato sempre. Ogni volta che sentivo suonare il campanello o squillare il telefono, pensavo fossi tu. Ma sbagliavo. Nessuno sapeva dove fossi andato e nemmeno se fossi ancora vivo. Ti abbiamo cercato tanto.»
Pietro, aveva le gambe e le mani che tremavano e si appoggiò alla porta.
«Perché mi è stato detto che eri morta?»
«Avevo paura che non saresti tornato.»
L'uomo, sentì sciogliere dentro il suo cuore tutta la rabbia, la delusione, il rancore, la tristezza e la nostalgia che per tutti quegli anni lo avevano accompagnato silenziosi. Si specchiò negli occhi pieni di lacrime di sua madre e vide riflessa tutta la sua stupidità: era rimasto una vita intera lontano per colpa di una discussione. Per la prima volta dopo 38 anni, pianse.
Entrò in casa e abbracciò la donna che aveva aspettato il suo ritorno.
«Perdonami tu mamma...perdonami se puoi...»
Intorno a loro, i fratelli e le sorelle che in quei lunghi anni lo avevano sempre cercato, commossi e felici, si unirono all'abbraccio.
La moglie lo raggiunse a Serramanna due giorni dopo e poté conoscere la famiglia.
C'era voluto tanto tempo per riunirsi e perdonare la rabbia di un attimo, ora però, il lungo viaggio di Pietro, finalmente, era finito. Era tornato a casa.
Francesca Murgia

lunedì 6 novembre 2017

Il cielo e le stelle: bellezze misteriose senza tempo

Galassia di Andromeda - scatto di Samuele Pinna
Nebulosa di Orione - scatto di Samuele Pinna
Da sempre, il luminoso scintillio delle stelle del cielo e la pallida luna che ogni notte mostra una faccia diversa,  affascinano a catturano gli sguardi degli esseri umani. A loro, dall'alba dei tempi, si rivolgono preghiere, desideri e strofe, sognando la felicità. Spinti dal desiderio di capire, raggiungere, toccare quei puntini luminosi, gli uomini non hanno mai smesso di osservare l'universo.  Per poterlo guardare meglio, hanno inventato attrezzi sempre più potenti che potessero individuare nuove stelle e nuovi mondi. Oggi, i moderni telescopi che catturano le piccole luci proveniente dallo spazio più profondo, continuano a sondare l'ignoto e, astronomi ed astrofili, sbirciando con potenti lenti le meraviglie dell'universo, ancora cercano di rispondere ad una delle domande più vecchie che l'uomo si sia mai posto: "Siamo soli nell'universo?". La risposta, forse non arriverà mai ma, intanto, i bellissimi scatti fatti dalla Terra dagli appassionati del Cielo, immortalano spettacolari attimi  di vita del nostro misterioso universo e noi, sognatori infinitamente piccoli rispetto all'immensa meraviglia che ci sovrasta, senza fiato possiamo solo guardare e stupirci.

Francesca Murgia
Luna - scatto di Samuele Pinna



Pleiadi - scatto di Samuele Pinna





    La donna, una storia scritta dagli uomini




    Occorrerebbero feste o ricorrenze dedicate alle donne se, per secoli e spesso ancora oggi, non fossero stati negati ad esse gli stessi diritti degli uomini? Nelle sue lettere contenute nel Nuovo Testamento, San Paolo ha scritto "Non concedo a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all'uomo; piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo. Perché prima è stato formato Adamo e poi Eva; e non fu Adamo ad essere ingannato, ma fu la donna che, ingannata, si rese colpevole di trasgressione. Essa potrà essere salvata partorendo figli, a condizione di perseverare nella fede, nella carità e nella santificazione, con modestia." Gli uomini e la religione fecero diventare Legge queste parole e fino a non molti decenni fa era pensiero comune che la donna avesse una mente inferiore a quella dell'uomo e che il suo ruolo nella vita fosse ubbidirgli senza protestare. Era scritto nella Bibbia. Lo affermava San Paolo. Lo imponeva la Chiesa. Lo ribadivano gli uomini. Le donne, quindi, nascevano e crescevano allevate nella convinzione di non poter aspirare a niente di più che ad essere le serve dei loro mariti e partorire i loro figli. Quante lotte hanno dovuto fare per dimostrare di non avere limitazioni fisiche e mentali e poter lavorare, votare, studiare e imparare? Quante lotte dovranno ancora fare per mettere in chiaro una volta per tutte di non essere una proprietà da usare e abusare? Quante lotte ancora, per non rischiare la vita ogni volta che dicono no, ogni volta che gridano basta, ogni volta che scelgono il loro destino?
    Anche se la strada da fare verso la parità è ancora tanta, vedo che in tante stanno mostrando a loro stesse e al mondo che le donne hanno dentro una forza che permette loro rimboccarsi le maniche, raccogliere i pezzi dei loro sogni infranti e affrontare con coraggio le tempeste delle loro vite uscendone vincitrici e più forti. A tutte le donne che non si arrendono davanti alle dure prove del destino, voglio dedicare queste mie parole, con l'augurio che ogni loro giorno possa essere una festa e che possano essere sempre padrone della propria vita e del proprio destino, mai più schiave per dovere, ma compagne per Amore.


    Francesca Murgia

    Menhir, tesori da riscoprire

    Spesso i più grandi tesori si trovano sotto gli occhi di tutti da sempre, ma nessuno (o in pochi) riescono a vederli e ad apprezzarne il valore. Sconosciuti e inesistenti praticamente per tutta la popolazione, se ne stanno fermi e muti da millenni, ad aspettare che qualcuno si accorga "veramente" della loro esistenza, restituendogli la giusta importanza che meritano. Così può capitare che, ciò che per tutti è semplicemente una pietra di notevoli dimensioni, per occhi che guardano oltre la semplice apparenza sia invece un menhir di grandissima importanza archeologica. In un paese che da sempre vive di agricoltura, le grosse pietre che occupano spazio all'interno di un terreno, disturbano. Purtroppo, quando è stato possibile, sono state rimosse dal loro sito originario, spesso diventando materiale di costruzione per chiese e case oppure ornamento di cortili privati. Solo gli esemplari più grandi, troppo difficili da spostare, sono rimasti al loro posto, continuando a essere testimoni silenziosi di infinite albe e tramonti. Eppure, nonostante alcuni di questi megaliti preistorici siano arrivati sino ai nostri giorni, pochi serramannesi sanno che esistono, pochissimi li hanno visti, quasi nessuno sa cosa siano o cosa potrebbero essere. La perda fitta (pietra infissa) più conosciuta di Serramanna( paese del Medio Campidano, in Sardegna) è "Sa Sennoredda". Secondo gli archeologi, il monolite alto più di un metro e mezzo, ornato da una lunga fila verticale di coppelle scolpite, dovrebbe essere una rappresentazione della dea madre (antichissima divinità venerata in Sardegna e presente praticamente in tutte le mitologie della Terra). Simile a quella grande pietra, presso il parco giochi se ne può ammirare un'altra, ma solo in pochi, nonostante sia davvero molto vistosa, si sono accorti della sua presenza.
    La terza, la più invisibile e silenziosa di tutte, si trova nella strada di campagna "bia is perdas". Il nome della strada da già un'idea di cosa potesse esserci in passato e cosa ora non c'è più. Infatti, tradotto in italiano, il nome della strada significa “via delle pietre. A differenza delle altre, non è un lungo monolite. Più bassa e tondeggiante, con una facciata rovinata in tempi recenti dal fuoco, agli sguardi distratti presenta una sola vistosa coppella. Al momento del tramonto però, sulla parte superiore di quella "perda fitta", accade una strana magia che lascia a bocca aperta: tante piccole coppelle, accese dal crepuscolo, compaiono all'improvviso, formando un disegno dal significato misterioso. Alcune delle persone che hanno avuto la fortuna di vederla da vicino, toccarla e ammirare le piccole coppelle, concordano su un'ipotesi che la rende ancora più preziosa «Appare evidente che non sia una dea madre o un simbolo fallico, ma che rappresenti qualcosa di diverso. Il disegno che formano le coppelle, fa pensare ad una costellazione. Come se i nostri padri lontani, abbiano fissato sulla pietra le stelle che illuminavano le loro notti Una mappa del cielo di migliaia di anni fa. Potrebbe addirittura essere un "Omphalos"»
    Omphalos. Questa parola di origine greca significa ombelico. Centro. Il centro sacro. Effettivamente, pare che tantissime culture megalitiche rappresentassero il divino (ciò che sta in cielo) che si fondeva con la Terra proprio con una grande pietra tondeggiante scolpita. I loro dei che vivevano in cielo erano sempre accanto a loro sulla Terra, nell' "Omphalos" sacro che veneravano. Una pietra tondeggiante... Tondeggiante come un uovo. Ed ecco che tornano in mente gli antichissimi miti greci, cinesi, indiani che, ognuno a modo suo, raccontano che tutto il creato, l'intero universo, nacquero proprio da un grande uovo. L'uovo cosmico. Possibile che anche gli abitanti di Serramanna di migliaia e migliaia di anni fa, venerassero il loro dei arrivati dal cielo e si tramandassero il ricordo della creazione, onorando l'enorme pietra sacra chiamata "Sa perda manna"(la grande pietra) o " Ayaya manna"(nonna grande)? Teoria azzardata e fantasiosa? Questo forse non lo sapremo mai con certezza, ma una cosa è sicura: intorno a noi ci sono molti tesori dimenticati. Il misterioso passato del nostro mondo, da migliaia di anni sta aspettando di essere riscoperto, valorizzato e restituito alle popolazioni. E' arrivato il tempo di guardare con altri occhi ciò che ci circonda e accorgerci che la nostra storia è proprio lì, in quelle pietre che sembrano silenziose solo perché noi non ne abbiamo mai ascoltato la voce.



    Francesca Murgia